Albo d’onore

“Nella riunione del 6 ottobre 2020, su proposta del Direttore Andrea Patroni Griffi, è stato deliberato, all’unanimità del Consiglio direttivo e del Comitato scientifico, di istituire un Albo d’onore del Cirb, dove ricordare e commemorare le personalità che, a diverso titolo, hanno dato lustro e impulso alle attività del Centro interuniversitario di ricerca bioetica.”

Albo d'onore


Accademico dei Lincei per la Sezione della Biologia cellulare e dello sviluppo e professore emerito di Biologia generale all’Università della Campania Luigi Vanvitelli. È stato Research Associate alla State University of Iowa di Iowa City (Department of Zoology)  e alla Wayne State University (Department of Biology) di Detroit; Principal Investigator per progetti di ricerca promossi dalla Stazione Zoologica di Napoli, dal Public Health Service” (USA) e dal Population Council di New York (USA). Ha anche insegnato nelle Università di Messina, Camerino, Roma (Cattolica del Sacro Cuore), Napoli (Federico II). Visiting Professor nell’Università di Utrecht nel 1977, nell’Università di Copenhagen nel 1985 e nell’Università del Texas, S. Antonio (USA) nel 1993. È stato tra i fondatori del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica (C.I.R.B.) di Napoli, di cui è divenuto anche Direttore. Ha ricoperto la carica di Presidente per l’European Society of Comparative Endocrinology (1977-1981), la Società Italiana di Istochimica (1975-1981), l’Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Napoli (1984-1993), e per l’Associazione Italiana di Biologia e Genetica Generale e Molecolare (1991-1995). Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica (1990-1998) e del Comitato Nazionale per la Bioetica della Biodiversità (1997-1999), nonché Socio Ordinario dell’Accademia Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti e della New York Academy of Sciences. Medaglia d’oro per i Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte, con diploma di I classe. Ha compiuto o diretto importanti ricerche in bioetica, embriologia chimica, fisiologia comparata della riproduzione nei vertebrati, biologia cellulare e fisiologia della ghiandola di Harder. Ha pubblicato oltre 400 lavori e monografie su riviste nazionali e internazionali.

A.P.G.

Era nato a Civitanova Marche nel 1926 ed è mancato nel gennaio del 2009. Allievo di una delle Scuole di Medicina più prestigiose del secolo scorso, risalente al Professor Gracco e poi ai professori Frugoni e Magrassi, fu tra coloro che con maggiore autorevolezza continuarono la tradizione professionale, quella scientifica e quella formativa. Condivise con Flaviano Magrassi la individuazione di una modifica enzimatica che avrebbe reso più agevole la diagnosi e la classificazione nosologica delle epatiti virali, come fu riconosciuto da tutta la comunità  scientifica internazionale. Coltivò sempre la ricerca in campo epatologico ma non si limitò ad essa, spaziando in altri campi del sapere medico. Progressivamente, il campo della sua ricerca si ampliò ai delicati temi della bioetica, disciplina della quale fu tra i più acuti cultori: il suo interesse al tema della sofferenza in tutte le sue forme fino a quella estrema della malattia terminale e del fine vita lo vide protagonista di infinite riunioni e convegni ai quali arrecò il contributo della sua dottrina e della sua luminosa intelligenza. Cattolico per formazione familiare e personali studi di conferma, arricchì il dibattito sull’etica della professione e della ricerca medica con serenità ed onestà intellettuale, difendendo le proprie convinzioni ma ammettendo la pluralità delle posizioni. Ebbe innumerevoli allievi che impararono da lui la clinica con la C maiuscola: erano ancora anni in cui alla paucità dei mezzi diagnostici si suppliva acuendo l’intuito clinico esercitando gli strumenti della raccolta anamnestica e dell’esame al letto del paziente; in questo fu Maestro ineguagliabile non meno che nella ricerca e fu questa vicinanza anche fisica al paziente che gli consentì di valorizzare la empatia tra questi ed il suo curante. Non dimenticò i suoi grandi Maestri ma riservò un posto speciale al dottor Walter Caradonna, il medico condotto che aveva accompagnato, con amore pari alla dedizione, il padre alla morte. Riteneva, insomma, che in un medico non potesse mancare né l’uno né l’altra. Coltorti comprese fin dall’inizio il significato del CIRB e ne fece parte da subito, offrendo a tutti lezioni di sapere e di umiltà ed insegnando a tutti a “insegnare ad insegnare” secondo un filo ininterrotto tra Maestri ed allievi, così come  aveva imparato meglio di chiunque. Molte volte il CIRB lo invitò ad assumerne la presidenza ma non era questo che cercava, pago della serenità che gli derivava non da incarichi o prebende ma dalla sua spiritualità. Il lavoro nel CIRB di Coltorti è stato ispirato da un ideale di cura aperta al dialogo, attenta a tutte le componenti che potevano smorzare il pericolo di una caduta nel paternalismo medico atavico tradotto progressivamente nel tempo in specialismo disciplinare. Al ruolo della clinica e del dialogo medico-paziente ha sempre richiamato anche partecipando attivamente e generosamente all’organizzazione di convegni e seminari. Non solo quelli dedicati ai temi allora più dibattuti nella bioetica come fine vita, fecondazione assistita, ma anche a questioni dall’orizzonte più ampio legate al rapporto di cura della malattia tesa al recupero delle radici concrete, vitali dell’esistenza umana. Uomo di grande cultura non solo medica, richiamava spesso Edgar Morin e le riflessioni di questi sulla necessità di chiamare a raccolta tutte le voci del mondo per un nuovo paradigma della vita umana in grado di declinare il rapporto con la Madre-Terra e con l’intero universo dei viventi, di cui la specie umana è parte e non signora assoluta. Testimonianza di questo dialogo sempre aperto con tutti saperi coinvolti nella bioetica e della sua attenzione per l’universo complesso della cura è da ricercare nella sua collaborazione attiva e appassionata all’organizzazione del convegno su “La cura delle donne”. In quell’occasione ha introdotto una questione inizialmente non prevista sollecitando una riflessione sul ruolo attivo delle donne non solo come oggetto, ma come soggetto di cura più attento alla fragilità del paziente, più interessato all’empatia dei soggetti coinvolti. Al termine della sua vita, sofferente e consapevole della fine imminente, si dedicò ancora a lenire le sofferenze dei suoi compagni di corsia: era lì, in mezzo agli altri ammalati che aveva scelto di morire, ancora una volta al servizio degli altri, punto di luce per chi ebbe la fortuna di accompagnarlo negli ultimi giorni. Per tutto questo ricordare Mario Coltorti è un dovere non solo della nostra memoria, ma un debito per tutti gli studiosi di bioetica che non vogliono affidarsi solo a norme e competenze, prendendo la via più complessa del prendersi cura e dell’essere in cura, di cui segnavia rimangono i “fatti” della patologia e del rapporto medico-paziente. Un esempio che possiamo solo ricordare, mancandoci sempre e comunque il conforto della sua voce e della sua presenza.

Enrico Di Salvo Rossella Bonito Oliva